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Anna Galluzzi

Dottore di ricerca in Scienze bibliografiche, archivistiche, documentarie e per la conservazione e restauro dei beni librari e archivistici
Biblioteca del Senato della Repubblica "Giovanni Spadolini"

anna.galluzzi@gmail.com



Resumen [Abstract] [Resum]

Obiettivo. L'obiettivo di questo saggio è studiare se esista un nesso tra il ruolo delle biblioteche pubbliche nella società contemporanea e l'applicazione del paradigma della lunga coda al mondo fisico. In particolare, l'articolo si interroga su come concepire le nuove biblioteche pubbliche centrali di grandi dimensioni e come riconfigurare le biblioteche locali e di quartiere all'interno della rete bibliotecaria urbana.

Metodologia. Introduzione e analisi del paradigma della "lunga coda" a partire dal libro di Chris Anderson del 2006, nell'ottica di coglierne le possibili ricadute sulla fruizione delle biblioteche e, dunque, sulla loro progettazione. L'analisi sarà effettuata attraverso mezzi teorici e si avvarrà degli spunti di riflessione forniti dagli esempi della Biblioteca Sala Borsa di Bologna e dei londinesi Idea Stores.

Risultati. Ne emerge che il paradigma della lunga coda rende poco attraente un'offerta bibliotecaria generica caratterizzata da una possibilità di scelta troppo limitata. Le biblioteche pubbliche centrali devono, dunque, poter contare su edifici grandi e funzionali, raccolte e orari di apertura ampi, una vasta gamma di servizi e attività di edutainment e un'attitudine a svolgere un ruolo sociale e di intrattenimento, oltre che squisitamente culturale. Dall'altro lato, le biblioteche locali e di quartiere non possono sopravvivere al di sotto di determinate dimensioni, a meno di puntare su temi, culture o lingue proprie dell'area di riferimento e complementari rispetto all'offerta complessiva del territorio, ovvero su quelle categorie di cittadini che non hanno la possibilità o la capacità di muoversi estensivamente per la città (anziani, bambini, disabili e così via). In termini più generali, le biblioteche pubbliche dovrebbero valorizzare il loro ruolo di intermediarie rispetto agli altri servizi bibliografici specializzati presenti sul territorio, nonché rispetto alle altre opportunità formative, informative, culturali e di intrattenimento, disponibili all'interno e all'esterno dell'area metropolitana.


1 La società della "lunga coda"

Nel 2006 Chris Anderson pubblica un libro dal titolo The long tail. Why the future of business is selling less of more, che, attraverso l'analisi dell'impatto di Internet sul mercato dei prodotti digitali, introduce un vero e proprio cambio di prospettiva nella teoria economica.

CIn particolare, Anderson rileva che, mentre l'economia mondiale in ambiente analogico era quasi esclusivamente basata sui mercati di massa, con l'affermarsi di Internet le nicchie sono diventate non solo economicamente sostenibili, ma anche redditizie, in particolare per quei prodotti che possono essere distribuiti in formato digitale, ad esempio la musica. I vincoli fisici che in passato avevano impedito di avere subito disponibile un ampio catalogo di prodotti presso un unico distributore (a causa della necessità di spazi di stoccaggio molto grandi e dell'inefficienza di tenere in magazzino migliaia di prodotti per mesi o anni) sono stati superati dal processo di convergenza di un numero crescente di prodotti verso il formato digitale.

Questo paradigma economico è chiamato "coda lunga" perché, se si collocano su un grafico le vendite dei prodotti di massa (le cosiddette "hits") e quelle dei prodotti di nicchia, si osserva che i primi vendono moltissimo, ma sono in numero estremamente limitato, mentre i secondi vendono pochissimo se presi singolarmente, ma nel loro insieme possono produrre un guadagno sostanzialmente paragonabile a quello dei mercati di massa.1

Questo cambiamento non è solo dovuto al successo di Internet, bensì deve essere guardato anche all'interno delle dinamiche della società post-moderna, in particolare la riconosciuta tendenza dei singoli a spostarsi progressivamente dal livello macro a quello micro-sociologico. Il livello micro-sociologico, come definito da Desjeux (1996), è quello dei gruppi, delle associazioni e delle cosiddette tribù, mentre il livello macro-sociologico ha a che fare con stili di vita, classi sociali, generazioni. Secondo Desjeux, oggi l'identità del singolo è sempre più definita dall'essere parte di quei piccoli gruppi che, pur non essendo omogenei in termini di appartenenza sociale, condividono, in modo intenso ma transitorio, le stesse passioni, emozioni, approcci etici. Ciascuno di questi gruppi ha i propri riti e oggetti di culto e costituisce una nicchia, che però non esaurisce la rete di appartenenze del singolo; al contrario, ogni individuo partecipa di nicchie diverse in base ai suoi interessi e ai diversi momenti della vita.

Queste nuove forme sociali sono caratterizzate da un forte ricambio nella composizione e da una significativa e costante condivisione di esperienze. Esse soddisfano due esigenze di fondo del cittadino contemporaneo: il bisogno di libertà e di autonomia da un lato, e la crescente domanda di sicurezza dall'altro. Queste nuove comunità, infatti, pur essendo meno vincolanti di quelle tradizionali, in qualche modo rispondono comunque alla richiesta di radicamento sociale da parte dei cittadini metropolitani.

All'interno di questo quadro sociologico, Internet ha favorito il fiorire delle nicchie (Cova, 2007), in quanto ha consentito a persone che vivono in diverse parti del mondo di incontrarsi in rete e condividere le proprie passioni, anche le meno popolari; inoltre, ha realizzato un collegamento virtuale tra i numerosi venditori e distributori sparsi in tutto il mondo, creando così la possibilità di acquistare o scambiare oggetti di culto per mezzo di portali come eBay, iTunes o Amazon.

Si potrebbe dire, dunque, che questo nuovo paradigma economico, la coda lunga, sia dovuta al convergere di un cambiamento sociologico e di un progresso tecnologico.


2 La coda lunga nel mondo fisico e il ruolo delle città

Anche se la lunga coda è strettamente connessa alle caratteristiche dell'ambiente e degli oggetti digitali, tale paradigma economico può —almeno in parte— riguardare anche la distribuzione dei prodotti analogici.

I servizi online, come Amazon o eBay (nonché molti altri), offrono infatti agli utenti della rete la possibilità di rintracciare e comprare non solo oggetti digitali, bensì qualsiasi altro tipo di prodotto, anche non digitale. Ciò è reso possibile dal virtual network che essi realizzano aggregando un elevatissimo numero di piccoli e grandi distributori, nonché di privati cittadini, che tutti insieme vanno a costituire il più grande servizio di distribuzione del mondo, con un punto di accesso unico su Internet.

Nel caso di oggetti fisici, uno dei principali ostacoli all'esplicarsi delle piene potenzialità della coda lunga è la necessità di spedire fisicamente la merce al richiedente. Un unico ordine potrebbe, infatti, comportare una o più spedizioni: per esempio, un ordine di DVD fatto attraverso Amazon UK potrebbe richiedere la raccolta dei singoli pezzi da diversi distributori e depositi al fine di farli confluire in un luogo unico da dove il pacco sarà spedito (a meno che il cliente non chieda che la spedizione venga effettuata direttamente dai singoli distributori con una maggiorazione delle spese).

Tuttavia, occorre sottolineare che il presupposto della lunga coda è rappresentato dall'esistenza e disponibilità dei beni richiesti e dal fatto che sia possibile venirne a conoscenza attraverso banche dati centralizzate, come quelle disponibili su Internet, che fungano da vetrina per i prodotti di nicchia. Le condizioni di accesso all'informazione e la conseguente pubblicità che ne deriva sono essenziali in particolare per la diffusione di questi prodotti. Dunque, è vero che le nicchie esistevano già prima di Internet, ma, un tempo, soddisfare le proprie curiosità e rintracciare oggetti di culto costituivano un lavoro estremamente impegnativo e richiedevano una rilevante disponibilità economica.

In epoca pre-Internet, i luoghi dove le nicchie hanno trovato la loro massima espressione e hanno costruito le loro comunità sono state le città, che Anderson (2006) definisce infatti "la coda lunga dello spazio urbano". In effetti, le città, in particolare quelle grandi, funzionano in qualche modo come l'equivalente fisico del marketplace virtuale, in quanto, potendo contare su una platea molto vasta e avendo una forte capacità attrattiva anche sull'esterno, sono in grado di mettere a disposizione un'offerta vasta in modo economicamente sostenibile. Di conseguenza, nelle città, anche le attività più piccole e specializzate possono sopravvivere e in certi casi persino prosperare, grazie al fatto che possono contare su un'audience economicamente apprezzabile (Galluzzi, 2009).

Di fatto, in quasi tutti i settori —dalla vendita al dettaglio al mercato dell'intrattenimento—, le città offrono sia luoghi dove si dispone di una vasta gamma di servizi e prodotti, sia luoghi dedicati esclusivamente ad un'offerta molto specifica. Pertanto, i grandi centri commerciali, dove la gente può trovare quasi tutto in un unico luogo, convivono con gli esercizi specializzati, dove è possibile soddisfare esigenze anche molto particolari. Le imprese che si posizionano ad un livello intermedio tra questi due faticano, invece, a darsi una precisa identità e a mantenere la propria quota di mercato. Ad esempio, le piccole librerie tradizionali, che offrono una selezione standard di libri e materiali multimediali, o il ristorante generico privo di una sua specificità sono essenzialmente trascurati dai clienti, anche quando ubicati dietro l'angolo. Al contrario, le persone sembrano non aver alcun problema a percorrere distanze ben maggiori, quando sono a caccia di quel CD che manca alla loro collezione o hanno voglia di sperimentare quel ristorante egiziano di cui hanno sentito parlare bene dai loro amici!

Questa caratteristica, tipica delle aree metropolitane, è stata in qualche modo amplificata da Internet, in quanto la rete ha conferito maggiore visibilità a questa offerta ampia e, di conseguenza, ha dato alle città la possibilità di guardare ben oltre i propri confini e di attirare sempre più pubblico, senza dover fare affidamento esclusivamente sul passaparola.

La lunga coda fisica e quella virtuale convergono, dunque, nelle città.


3 Biblioteche pubbliche e grandi città

In che modo questi fenomeni possono avere un impatto sulle biblioteche pubbliche?

Sappiamo tutti che oggi le biblioteche si trovano ad affrontare sfide difficili che mettono in discussione persino la loro esistenza (in particolare quella fisica), in conseguenza del successo di Internet quale punto di accesso privilegiato alle informazioni, della convergenza dei media verso formati digitali e delle nuove modalità con cui le persone affrontano studio, lettura, intrattenimento e ricerca (Galluzzi, 2009).

In particolare, mentre altre tipologie di biblioteca possono puntare su specifiche nicchie di mercato e sull'unicità delle collezioni che possiedono, le biblioteche pubbliche sembrano appartenere ormai al passato e mancare di una propria identità definita, in quanto sono, per loro stessa natura, genericamente indirizzate a tutti i tipi di utenti e finalizzate a soddisfare bisogni informativi di base.2 In altre parole, la singola biblioteca pubblica sembrerebbe non essere in grado di soddisfare pienamente i bisogni di massa, né quelli di nicchia, a causa del suo approccio generalista che oggi tende a perdere di significato e attrattiva. A questo si aggiunga che, nelle grandi città, l'elevato numero di biblioteche di qualsiasi dimensione e tipo (pubbliche, universitarie, nazionali, private e così via) innesca una forte concorrenza tra i servizi bibliografici, tanto più a fronte di una società in cui domanda e offerta sono sempre più diversificate e frammentate. Considerando le caratteristiche della cosiddetta società "a coriandoli" o "a fogli mobili" (Brevini, 2008) —sostanzialmente altri modi per esprimere il concetto di "lunga coda"— le due principali tendenze cui le biblioteche pubbliche devono, dunque, rispondere sono: la convergenza dei servizi e la proliferazione delle nicchie.

D'altro canto, è un dato di fatto che in molte città di tutto il mondo, in particolare nelle aree metropolitane, si stiano costruendo nuovi edifici bibliotecari (Agnoli, 2009; Galluzzi, 2009; Muscogiuri, 2009). A volte questi nuovi edifici sono destinati a biblioteche esistenti che necessitano di sedi più grandi, altre volte ospitano biblioteche di nuova fondazione. Molte sono biblioteche pubbliche, contraddicendo —almeno in apparenza— quanto affermato in precedenza. Tuttavia, approfondendo la questione, emerge un'altra possibile interpretazione. Si deve ricordare che, negli ultimi anni, molte città sono state ampiamente rimodellate e hanno puntato a riconquistare un ruolo centrale nella vita dei propri cittadini. Le autorità nazionali e locali hanno finanziato importanti progetti per il rinnovo del paesaggio urbano e per la rivitalizzazione dei centri storici e di alcune aree della periferia (Amendola, 2004). Le principali città di tutto il mondo hanno sviluppato una forte competizione tra di loro allo scopo di rendersi più attraenti non solo per i propri abitanti ma, soprattutto, per i cosiddetti city users, ossia coloro che, utilizzando i servizi delle città secondo le proprie esigenze, senza risiedervi, sono diventati sempre più importanti per l'economia urbana (Nuvolati, 2002).

In particolare, le città puntano sulla propria capacità di promuovere le relazioni e si propongono come i luoghi migliori per l'interazione sociale, in linea con la doppia natura —fisica e virtuale— della vita moderna (Castells, 1991, 1996). Da un lato, non v'è dubbio sul fatto che l'interattività crescente di Internet dia a ciascuno di noi la possibilità di crearsi uno spazio di relazione sulla rete e di mantenere intatto e attivo questo spazio ovunque ci si sposti fisicamente. Gli strumenti del Web 2.0 —social networking, chat, messaggistica istantanea, VoIP e così via— influenzano il modo in cui si gestiscono i rapporti umani, non solo sulla rete, ma anche nella vita quotidiana.

Dall'altro lato, tutto ciò non implica necessariamente una minore necessità delle persone di incontrarsi fisicamente. Al contrario, alcuni sociologi hanno sottolineato che la mobilità e la vicinanza fisica sono due punti chiave della vita moderna (Vicari Haddock, 2004). Cosicché, quanto più tempo si passa su Internet e quanto più si utilizza il Web per attività che in passato richiedevano uno spostamento fisico, tanto più ci si muove e si va in giro per incontrare altre persone e per divertirsi. Tali caratteristiche dei cittadini contemporanei sono chiamate dai sociologi compulsion to mobility (coazione alla mobilità) e compulsion to proximity (coazione alla vicinanza fisica) e, anche se apparentemente in contraddizione, costituiscono in realtà due facce della stessa medaglia (Urry, 2007; Friedland; Boden, 1994).

Dal momento che, in molti casi, i progetti di edifici bibliotecari costituiscono uno degli interventi previsti per il rinnovo di aree dismesse della città o per dare nuova vita ai punti focali del contesto urbano, è forse opportuno interpretare la tendenza alla costruzione di nuove biblioteche all'interno di questo più ampio quadro. Poiché le iniziative di riqualificazione urbana —per avere successo— devono tendenzialmente offrire diversi tipi di esperienze a cittadini e city users (dal divertimento allo shopping, dalla cultura ai servizi pubblici) e promuovere le relazioni sociali, le biblioteche sono spesso ritenute idonee a questo scopo, in particolare quelle pubbliche il cui ruolo sociale è almeno altrettanto importante quanto quello culturale, educativo e informativo.

In questa prospettiva i due succitati fenomeni, la crisi delle biblioteche pubbliche e la nascita di nuovi edifici bibliotecari in tutto il mondo, non risultano del tutto incompatibili; piuttosto, l'esistenza di queste due tendenze opposte dovrebbe spingere le biblioteche pubbliche a più attente considerazioni, giacché potrebbe trattarsi di una buona occasione per allinearsi maggiormente al contesto sociale circostante e per affrontare apertamente le sfide del domani.


4 Le biblioteche pubbliche e la società della lunga coda

Come già accennato, il paradigma della lunga coda applicata al mondo fisico fa sì che le imprese abbiano più possibilità di successo o se hanno dimensioni tali da offrire una vasta gamma di prodotti e servizi, o se, per quanto piccole, sono sufficientemente specializzate da soddisfare la domanda di quelle nicchie che non trovano spazio nei mercati di massa. Nelle città questi due ruoli possono essere svolti dagli stessi soggetti, dal momento che alcuni fornitori di prodotti e/o servizi raggiungono dimensioni tali da poter comprendere anche le più piccole nicchie.

Alcuni anni fa, alcuni giornalisti scrivevano che la nascita degli ipermercati e dei centri commerciali stava determinando la chiusura dei piccoli supermercati di quartiere e dei negozi locali; in realtà, il progressivo spostamento dei clienti da questi ultimi al primo tipo di offerta era dovuto principalmente al cambiamento di abitudini dei cittadini metropolitani, alla rivoluzione tecnologica e all'emergere del paradigma della lunga coda. Si deve, però, aggiungere che i negozi specializzati non sono realmente scomparsi, anzi hanno acquisito nuovo vigore grazie alla loro capacità di offrire ai clienti una copertura quasi completa nel settore di loro specializzazione e di sfruttare al meglio una efficace rete di cooperazione, indispensabile per essere realmente competitivi. I negozi specializzati puntano a mettere a disposizione quasi tutto in un certo ambito, mentre gli ipermercati, pur garantendo un'elevata varietà dell'offerta, non possono coprire esaustivamente tutti i settori merceologici. Dunque, gli ipermercati contano sul fatto che i clienti desiderano trovare molti prodotti diversi in un unico luogo senza doversi rivolgere a numerosi punti vendita per soddisfare le proprie diverse esigenze, salvo che non scelgano volontariamente di andare alla ricerca di prodotti di nicchia, nel qual caso tale attività finisce per rientrare nel dominio del piacere e del tempo libero (Anderson, 2006; Ritzer, 2008).

Lo stesso fenomeno riguarda quasi ogni tipo di business, rendendo quindi necessario interpretare in modo nuovo il rapporto tra grandi fornitori e quelli di piccole e medie dimensioni, al fine di evitare l'innescarsi di una feroce competizione. Parlando di librerie, Montroni (2006) afferma che per entrambi la chiave del successo è il giusto equilibrio tra identità e complementarità, che consente a ciascuno di mantenere un ruolo significativo. D'altra parte, non v'è dubbio che, in un'epoca caratterizzata dai succitati fenomeni, un servizio di medio-piccole dimensioni e con un approccio generalista difficilmente possa incontrare il favore del pubblico.

Una riflessione sulle conseguenze che il paradigma della lunga coda può avere rispetto allo sviluppo futuro delle biblioteche è stata avviata da tempo nella letteratura biblioteconomica internazionale (Storey, 2005; Dempsey, 2006), nonché in quella italiana (Zani, 2007; Gentilini, 2007; Morriello, 2009). Non si è, però, fin qui riflettuto, nello specifico, sul modo in cui l'applicazione di questo paradigma potrebbe (e dovrebbe) modificare i rapporti all'interno dei grandi sistemi bibliotecari urbani e aiutare piccole e grandi biblioteche a trovare nuovi equilibri e ruoli complementari rispetto ai rinnovati bisogni dei cittadini. In particolare, sarebbe necessario interrogarsi su:

Evidentemente la risposta non è semplice, né univoca. Soluzioni organizzative diverse e ipotesi alternative consentirebbero probabilmente di ottenere comunque risultati apprezzabili in termini strutturali e di risposta da parte dell'utenza. Non sempre però le biblioteche —anche quelle di più recente concezione— hanno adeguatamente tenuto conto della necessità di questa riflessione di sistema e dei condizionamenti che il meccanismo della lunga coda produce sulla relativa progettazione.


5 Due esempi: la Biblioteca Sala Borsa di Bologna e gli Idea Stores londinesi

Una riflessione specifica sui temi sopra discussi dal punto di vista teorico non è, di solito, esplicitamente presente nei documenti di progettazione delle biblioteche pubbliche di nuova costruzione. Le implicazioni pratiche della "lunga coda" restano generalmente implicite e sullo sfondo dell'analisi e delle scelte organizzative.

Nondimeno, le soluzioni di servizio adottate da alcune di queste biblioteche possono essere certamente ricondotte alla preoccupazione di realizzare, da un lato, biblioteche centrali che fungano da veri e propri "one-stop-shop" della lettura, dell'intrattenimento e dell'informazione legati ai media e, dall'altro, biblioteche locali e di quartiere più identitarie e più rispondenti ai loro specifici targets di riferimento3.

Nel breve spazio di questo articolo e a integrazione dell'analisi teorica si è ritenuto utile —a titolo meramente esemplificativo— proporre una lettura di due realtà bibliotecarie che ponesse particolare attenzione ai punti di vista e agli spunti sui temi in discussione. Si tratta di due biblioteche (da me personalmente visitate) situate in città medio-grandi e realizzate negli ultimi dieci anni, ossia:

Queste due realtà bibliotecarie rappresentano altrettanti modi di interpretare il ruolo della biblioteca pubblica nella città contemporanea; in particolare, la Biblioteca Sala Borsa offre interessanti spunti di riflessione sui ruoli possibili di una grande biblioteca pubblica centrale, mentre gli Idea Stores propongono una via innovativa alla progettazione dell'offerta bibliotecaria in un grande quartiere metropolitano. Ne emergono alcune risposte possibili, ma soprattutto numerose suggestioni ed elementi di riflessione in merito al problema della potenziale concorrenza tra biblioteche centrali e di quartiere e tra piccole e grandi biblioteche.

a) Biblioteca Sala Borsa, Bologna (Italia)

La Biblioteca Sala Borsa è la biblioteca centrale della rete bibliotecaria urbana di Bologna. È stata aperta al pubblico nel dicembre 2001 e parzialmente ampliata e ristrutturata nel 2008. La decisione di fondare questa nuova biblioteca è stata sostenuta dalla necessità di sostituire la precedente biblioteca centrale del sistema urbano, che era troppo piccola e debole per svolgere appieno il ruolo di nodo centrale della rete. Sala Borsa non ha però semplicemente ereditato le collezioni della ex biblioteca centrale, bensì è diventata un nuovo spazio pubblico e un nuovo servizio bibliografico per i cittadini di Bologna (Foschi; Poli, 2004; Brandinelli, 2002).

La biblioteca si trova nel cuore della città storica, il cosiddetto "parco urbano" di Piazza Maggiore, dove si collocano diversi palazzi istituzionali e la Basilica di San Petronio, tutti edifici che hanno un alto valore simbolico per la città, nonché un rilevante valore storico, dal momento che risalgono in buona parte al XIII secolo.

Nell'ultimo decennio, promuovere il valore storico di questo complesso architettonico e, allo stesso tempo, integrarlo nell'area urbana dove si trova è stato uno dei principali obiettivi delle autorità locali. In particolare, si è puntato a offrire ai cittadini un ampio ventaglio di opportunità, dal tempo libero alle attività culturali, sfruttando l'eccezionale mix di piazze, cortili e monumenti. Il progetto denominato "Parco Urbano di Piazza Maggiore" ha trasformato gli edifici storici che ospitano l'amministrazione comunale e l'area circostante da luogo dedicato prevalentemente alle attività amministrative a spazio culturale e sociale per i cittadini. Qui, cittadini e turisti possono oggi trovare musei, collezioni d'arte, cortili per spettacoli e attività culturali e, non ultima, la biblioteca e centro multimediale all'interno della Sala Borsa (Foschi; Poli, 2004, p. 63-64, 66-67 ).

Il successo della biblioteca in termini di pubblico e il suo rilevante impatto sulla vita sociale della città sono, dunque, in buona parte conseguenza della sua posizione centrale e del complessivo ruolo culturale di quest'area. E tutto ciò nonostante la scarsa visibilità esterna della biblioteca, visto che la facciata del palazzo Sala Borsa non consentiva alcun inserzione di segnaletica invasiva.

Vale la pena ricordare che il progetto originario della biblioteca era destinato ad una superficie più ampia, che comprendeva la piazza coperta interna. Successivamente, le autorità locali hanno deciso di destinare gli spazi circostanti la piazza coperta ad attività commerciali, cosicché la biblioteca, nonostante le polemiche suscitate da questa decisione dell'amministrazione, si è dovuta accontentare di un'area più piccola e meno visibile. I bibliotecari hanno dovuto così adattare il progetto iniziale alla nuova situazione, rinunciando peraltro alla parte più suggestiva dell'edificio.

Nel corso degli ultimi nove anni, la Biblioteca Sala Borsa ha dimostrato di essere in grado di affrontare le sfide che man mano le si sono presentate e non ha mai smesso di mettersi in discussione, aggiornando le scelte iniziali in risposta ai cambiamenti del contesto esterno ed interno. In particolare, dopo che gli esercizi commerciali che inizialmente avevano occupato gli spazi intorno alla piazza coperta hanno abbandonato l'edificio, la biblioteca ha gestito una importante riorganizzazione dei suoi spazi e servizi. Nel giugno 2008, la biblioteca ha riaperto con un nuovo look e ha opportunamente sfruttato questa occasione per ripensare —almeno in parte— le raccolte e l'organizzazione del servizio, utilizzando le informazioni di feedback raccolte nel corso degli anni.

Fin dalla sua fondazione, la Biblioteca Sala Borsa è nata con l'obiettivo principale di soddisfare le esigenze informative e sociali della più ampia varietà possibile di utenti, garantendo libertà e facilità di accesso. La mediazione e l'assistenza del personale sono a disposizione ogni volta che il pubblico ne abbia bisogno o esplicitamente lo richieda (Foschi; Poli, 2004, p. 98).

La crescita e la complessiva gestione delle raccolte sono basate sui medesimi principi, ossia pluralismo dell'informazione, massima diversificazione dell'offerta e approccio critico ai contenuti. Le sue collezioni puntano, dunque, a rappresentare la varietà di interessi e punti di vista in riferimento a età, istruzione, cultura e professione dei suoi utenti. In particolare, l'obiettivo più ambizioso della biblioteca è quello di riuscire ad essere in linea con le esigenze informative del grande pubblico, così come dei professionisti, dei ricercatori e degli studiosi (Carta delle Collezioni, 2002, p. 32).

La biblioteca è stata sostanzialmente coerente nel tempo con il principio di fondo di essere una biblioteca per tutti; infatti, un'adeguata organizzazione e gestione dei suoi spazi e servizi consentono a diverse tipologie di utenti di poterne fruire contestualmente, dagli studenti con i propri libri di testo agli utenti che consultano le collezioni per motivi personali o professionali, ai bambini e ragazzi che partecipano alle attività formative e ludiche, alle persone che leggono giornali e riviste o navigano su Internet, ai flâneurs che scorrono le collezioni a scaffale aperto senza una meta precisa.

Questa biblioteca può, dunque, essere considerata un buon esempio di un possibile modo di interpretare la funzione di biblioteca centrale di una rete urbana e di una possibile strategia da mettere in atto per riconquistare un ruolo significativo per i cittadini contemporanei. Nello specifico, la biblioteca ha investito, da un lato, nelle dimensioni delle collezioni e degli spazi e, dall'altro, nella loro varietà e differenziazione. Queste due caratteristiche insieme le hanno permesso di accogliere molte nicchie differenti per quanto riguarda i tipi di usi (biblioteca come luogo per incontrarsi, socializzare, leggere, studiare, trascorrere il tempo libero, fare una passeggiata, giocare con un videogioco, guardare un film, ascoltare musica, chiedere informazioni e così via) e i tipi di esigenze informative (da quelli di base a quelli degli appassionati e dei ricercatori in quasi tutti i domini e campi disciplinari).

C'è solo un aspetto ancora da definire adeguatamente: la struttura e il funzionamento della rete bibliotecaria urbana nel suo complesso. Oltre al rapporto tra biblioteca storica (Archiginnasio) e biblioteca contemporanea (Sala Borsa), vi è la necessità di definire meglio il ruolo delle biblioteche di quartiere, sia quelle a carattere generale che quelle specialistiche. Alcune di queste sono già state chiuse o completamente ripensate dopo l'apertura della Biblioteca Sala Borsa, nel tentativo di razionalizzare i servizi e il personale; altre sono ancora in attesa di un intervento che dovrebbe puntare a dar loro nuova vita e una identità più significativa, all'interno di una dinamica sistema i cui equilibri sono profondamente cambiati in virtù del forte potere attrattivo della biblioteca centrale.

b) Idea Stores, Tower Hamlets Borough, Londra (UK)

Gli Idea Stores4 si trovano nell'East End di Londra, per essere più precisi fanno parte del Tower Hamlets Borough, che è anche il soggetto istituzionale che ha adottato questa iniziativa e ne ha coordinato il progetto nel quadro di una più generale politica finalizzata all'innovazione e al miglioramento del tenore di vita in quest'area della città.

Gli Idea Stores intendono presentarsi come servizi pubblici innovativi finalizzati a due obiettivi principali: fondere i servizi di biblioteca con quelli della formazione continua e sostituire l'immagine tradizionale e in declino della biblioteca con una più moderna e attraente, caratterizzata da una comunicazione ispirata a quella del mondo commerciale.

Le principali strategie applicate in fase di progettazione degli Idea Stores sono state le seguenti:

Gli Idea Stores hanno, inoltre, introdotto un nuovo modo di interpretare il servizio di informazione e assistenza agli utenti, in quanto —oltre ai tradizionali reference desks— hanno messo a disposizione il cosiddetto personale floor-walking per rispondere a ogni esigenza degli utenti in modo più informale.

Sebbene rimangano essenzialmente delle lending libraries, gli Idea Stores pongono particolare attenzione alle sezioni multimediali e di reference e puntano a creare tutti i presupposti per rendere la biblioteca attraente e la permanenza degli utenti piacevole e funzionale. Per ottenere questi risultati, hanno fatto alcune scelte specifiche in merito alla sistemazione, all'organizzazione e all'arredo degli spazi della biblioteca, ad esempio l'allestimento delle vetrine, la creazione di hot spots (piccoli espositori per la scelta rapida dei volumi), la disponibilità al pubblico dei carrelli con i libri appena restituiti, un allestimento accattivante del materiale multimediale e così via (Dogliani, 2009).

Inoltre, poiché gli Idea Stores si trovano in un'area della città caratterizzata da una presenza massiccia di immigrati provenienti dal continente sub-indiano (soprattutto del Bangladesh), importanti sezioni delle raccolte di queste biblioteche sono dedicate alle loro culture e sono scritte nelle loro lingue, allo scopo di rendere queste biblioteche più in linea con le richieste socio-culturali del territorio, nonché uno spazio di integrazione sociale.

La necessità di ripensare i servizi bibliotecari e formativi in quest'area della città è emersa in seguito al calo nelle statistiche di utilizzo delle biblioteche e ai risultati di un'indagine di mercato condotta presso gli utenti potenziali dei servizi formativi e bibliotecari che vivono in questa zona (Customer., 1999).

Il risultato più interessante emerso da questa indagine riguardava la localizzazione di biblioteche e centri di formazione, in quanto un'alta percentuale degli intervistati si lamentava del fatto che questi servizi sono di solito ospitati in vecchi edifici e in aree prive di attrattive e parcheggio, al di fuori dei percorsi quotidiani. Dal punto di vista degli utenti la cosa più importante sembra non essere quella di avere una biblioteca o un centro di formazione dietro l'angolo, ma trovarlo dove si svolge la loro vita quotidiana. Questi servizi non dovrebbero, dunque, essere posizionati in aree dove la gente deve recarsi appositamente, ma piuttosto dove è possibile concentrare diverse attività, ad esempio vicino ai nodi principali del trasporto pubblico, ovvero ai negozi e centri commerciali, o ai ristoranti.

Un'adeguata localizzazione rende addirittura possibile pensare a una riduzione del numero dei punti di servizio, tanto che il documento strategico iniziale del progetto si proponeva di sostituire le dodici biblioteche esistenti nel quartiere con sette Idea Stores (Customer., 1999). Poiché i risultati auspicati inizialmente per una rete di sette Idea Stores sono stati raggiunti con i quattro già realizzati e data la situazione economica attuale, la nuova Idea Store Strategy (Tower Hamlets, 2009) ha parzialmente modificato il suo approccio a riguardo (anche grazie a una nuova analisi della situazione nazionale, regionale e locale e alla seconda indagine condotta tra utenti e non utenti dei servizi bibliotecari nel 2009). Questa nuova strategia non propone né la chiusura di altre biblioteche né il finanziamento di nuovi edifici, bensì suggerisce dei cambiamenti rispetto all'iniziale piano delle localizzazioni in conseguenza del fatto che, nel corso degli ultimi dieci anni, Tower Hamlets è cambiato dal punto di vista geografico e sociale e nuove comunità sono emerse portando con sé nuove richieste di accesso ai servizi bibliotecari, di formazione e di informazione.

Pertanto, le linee strategiche più recenti suggeriscono la nascita di una nuova generazione di Idea Stores di più piccole dimensioni, capaci di dare adeguate risposte ai bisogni emergenti: questi Idea Stores locali, pur mirando comunque a servizi di alta qualità, dovrebbero essere collocati in spazi commerciali esistenti, ma non utilizzati, ed eventualmente condividere tali spazi con altri servizi. Il nuovo documento strategico prevede inoltre che gli Idea Stores si concentrino maggiormente sull'accesso alle informazioni sulla salute e l'occupazione (Tower Hamlets, 2009, p. 53).

Il nuovo strategy document, pur confermando le impressioni iniziali e l'efficacia delle scelte effettuate, ha fatto tesoro dei nuovi elementi di valutazione emersi dall'analisi della situazione e della spinta verso un modello economicamente sostenibile in un contesto di crisi economica, e ha riformulato parzialmente le linee di sviluppo degli Idea Stores in questi termini:

In particolare, la decisione di ampliare i servizi di informazione sull'assistenza sanitaria e l'occupazione non è solo frutto della volontà degli Idea Stores di dare il proprio contributo al raggiungimento di risultati più ampi e condivisi, ma deriva anche dagli esiti della nuova indagine svolta sul territorio, dal momento che i residenti hanno espresso una chiara preferenza per questo tipo di servizi piuttosto che altri.

Il Whitechapel Idea Store5 può essere preso ad esempio del nuovo prototipo di servizio bibliotecario rappresentato dagli Idea Stores nel loro complesso. Si tratta di uno dei quattro Idea Stores già realizzati nel Tower Hamlets Borough (Store Bow, Chrisp Street e Canary Wharf sono gli altri tre). È stato il terzo ad aprire (nel settembre 2005) e si trova in una zona densamente popolata e multiculturale —vicino ad Albion Yard— dove sono presenti anche una vecchia fabbrica di birra, l'ufficio postale centrale e il Royal London Hospital. Sul lato est della costruzione un passaggio pedonale conduce ad un supermercato dotato di un ampio parcheggio. Sul marciapiede davanti alla biblioteca si tiene il mercato ambulante giornaliero di Whitechapel Road. Il successo di questa nuova struttura è dimostrato dal fatto che la biblioteca è passata dall'ultimo al primo posto tra le biblioteche più frequentate del centro di Londra (e, in generale, la frequentazione degli Idea Stores è passata dal 18 % al 56 % della popolazione, cioè l,8 % sopra la media di Londra).

L'edificio di David Adjaye ha una struttura semplice e un design funzionale, ma non è né noioso, né severo (Adjaye, 2006). Oltre alle tradizionali sale di lettura e consultazione, ci sono aule e altri spazi utilizzati dalla biblioteca e dagli altri enti convenzionati che si occupano di formazione permanente per organizzare lezioni, laboratori e attività di apprendimento. Il fatto che, all'ultimo piano, vi sia una caffetteria che condivide i suoi ripiani con gli scaffali della biblioteca e il cui banco è collocato di fronte all'area per la lettura dei quotidiani, attrezzata con divani e tavolini da caffè, è perfettamente coerente con la filosofia degli Idea Stores.

In conclusione, gli Idea Stores, pur conservando le principali caratteristiche del modello delle biblioteche pubbliche locali inglesi, hanno anche tratto ispirazione dalle librerie per quanto riguarda la disposizione degli arredi e delle collezioni, il rapporto con gli utenti e lo stile di comunicazione; soprattutto, hanno riconosciuto l'importanza di creare partnerships con altri enti pubblici e privati per offrire servizi formativi e culturali più articolati e completi ai cittadini (Galluzzi, 2008).

In virtù del complesso di scelte che li hanno caratterizzati, gli Idea Stores rappresentano una risposta possibile agli effetti della coda lunga sul mondo fisico. In particolare, essi sono un tentativo di riorganizzare la rete bibliotecaria di un grande quartiere partendo dal presupposto che le piccole biblioteche a carattere generico difficilmente possono rispondere alle esigenze dei cittadini contemporanei, anche quando sono collocate dietro l'angolo, e che l'aspetto e le dimensioni degli spazi restano variabili rilevanti, anche se non sufficienti, per il loro successo. Poiché una biblioteca locale non può, in ogni caso, garantire una copertura altrettanto ampia quanto quella di una biblioteca pubblica centrale, essa dovrebbe puntare, da un lato, su una raccolta di bestsellers ben selezionati e di altri materiali multimediali capaci di soddisfare una parte significativa delle esigenze del grande pubblico, dall'altro, su nicchie bibliografiche individuate in base alle caratteristiche specifiche della popolazione da servire e categorie utenziali più legate alla vita del quartiere (anziani, bambini etc.)

Inoltre, gli Idea Stores insegnano che le biblioteche locali e di quartiere dovrebbero auspicabilmente integrare la loro offerta bibliografica con altri servizi di valore, come l'apprendimento e le attività di formazione, l'informazione sui servizi per la salute e per l'occupazione, gli eventi culturali e di intrattenimento e le mostre, proponendosi dunque come un servizio pubblico ad ampio spettro per le persone (di età e appartenenze culturali differenti) che fanno parte della loro comunità di riferimento.

Inoltre, l'esperienza degli Idea Stores dimostra che per le biblioteche locali e di quartiere, in virtù del loro legame molto forte col territorio, è tanto più importante concentrarsi sulla qualità del rapporto tra personale e utenti; di conseguenza, le scelte effettuate in termini di applicazioni tecnologiche (ad esempio, i servizi self-service) e di modello organizzativo (ad esempio, l'introduzione del modello consortile nella gestione della catalogazione e delle attività amministrative) devono in ogni caso garantire che il livello del personale soddisfi le aspettative degli utenti e ne supporti i valori di fondo (che, per gli Idea Stores, sono coinvolgimento, arricchimento e partecipazione attiva).

Infine, gli Idea Stores dimostrano che la comunicazione e il marketing sono stati finora sottovalutati dalle biblioteche, mentre sono di vitale importanza per stimolare l'inserimento delle biblioteche nella vita del quartiere, a tal punto che lo strategy document del 2009 richiama a un impegno ancora più forte in questo ambito.


6 Conclusioni

I due esempi proposti offrono diversi spunti di riflessione in merito al ruolo che le biblioteche pubbliche possono incarnare in una città contemporanea che sperimenta nuovi stili di vita e si confronta con il fenomeno della lunga coda fisica e virtuale.

D'altra parte, si è del tutto consapevoli del fatto che si tratta di casi di studio che non possono essere considerati rappresentativi di nient'altro se non di se stessi, cosicché ogni tentativo di generalizzazione sarebbe rischioso, ancora di più se esteso al di fuori dell'Europa, dove i processi di rigenerazione urbana e la struttura delle città e delle aree metropolitane sono significativamente differenti.

Tuttavia, dato che il paradigma della lunga coda è un fenomeno realmente globale, in quanto strettamente legato all'uso estensivo di Internet, credo che una riflessione sulle sue conseguenze in ambito bibliotecario e la possibilità di confrontarsi con esempi reali di biblioteche che —in qualche misura— rispondono a questo cambiamento di paradigma socio-economico siano di grande utilità per l'intera comunità bibliotecaria, al di là delle differenze geografiche e culturali.

Non v'è dubbio alcuno sul fatto che le biblioteche stiano vivendo un momento difficile. La crisi economica e una certa tendenza politica e sociale a considerare l'investimento a lungo termine e senza benefici immediati sostanzialmente privo di attrattiva non aiutano le biblioteche a mantenersi centrali nell'agenda dei governi nazionali e locali. D'altra parte, non credo paghi un atteggiamento che, nel difendere il valore presuntamente universale ed eterno dell'istituzione bibliotecaria, attribuisce tale momento di difficoltà esclusivamente all'ottusità esterna e si rifiuta di adeguare i modelli di servizio e l'impianto concettuale alle dinamiche della società contemporanea.

Né, a mio modo di vedere, ci si può trincerare dietro motivazioni del tutto transitorie e deboli per rilanciare il ruolo delle biblioteche pubbliche, come ad esempio il fatto che non tutti hanno ancora accesso ad Internet, che il materiale bibliografico in formato digitale è solo una percentuale limitata rispetto alla vastità del patrimonio cartaceo, che le informazioni di qualità su Internet sono a pagamento o altre considerazioni di questo genere. In questo senso, mi sento di concordare appieno con quanto fa notare Tim Spalding in un suo messaggio postato nell'ambito di una recente discussione su Librarything: "Here's the easy challenge. Pit the internet against libraries, refuse to learn from the internet, ignore other changes in the information landscape, pin your value on marginal situations and remnant attitudes, and insist that whatever libraries did in 1990 is of eternal, constant value. Make anyone who sees otherwise into a barbarian and wait for the inevitable result of being so wrong. Here's the hard challenge. Figure out what has in fact changed, and what is changing rapidly. Understand that arguments like 'not everything is digitized' and 'not everyone has computers', though true, are less effective arguments with each passing year.

And then, in that light, built the library back up. Figure out what it does that won't be washed away over time. Figure out what can be jettisoned now, to save funds and effort for more effective opportunities. Figure out what libraries aren't doing, or aren't doing very much of, that can provide new value and new reasons for existing. In short, look into the abyss and start building a bridge over it" (Tim Spalding, in http://www.librarything.com/topic/93959, message 20).

In caso contrario, non si potrà certamente evitare che qualche altro giornalista, al pari di Anna Davlante del Fox Chicago News, salti su a sostenere —con prove documentarie più o meno discutibili ma pur sempre di impatto— che le biblioteche sono uno spreco di denaro pubblico6. È dunque opportuno che siano i bibliotecari —e soprattutto gli utenti delle biblioteche— a rispondere per primi alla fatidica e dilagante domanda: "Are libraries necessary, or a waste of tax money?"

In particolare, la riflessione teorica proposta e gli esempi esaminati suggeriscono, per il futuro, di valutare la funzionalità delle biblioteche pubbliche esistenti e, soprattutto, progettare le nuove biblioteche pubbliche tenendo in adeguata considerazione le seguenti questioni:

In sintesi, le nuove biblioteche pubbliche centrali non possono che scommettere sulle grandi dimensioni dei loro edifici, sfruttando la tendenza degli architetti post-moderni a creare monumenti capaci di segnare il paesaggio. In questo modo, esse puntano a presentarsi come catalizzatori di diverse esigenze e a diventare luoghi dove la gente può trovare informazioni, leggere e studiare, partecipare ad eventi culturali, conoscere altre persone e socializzare, coltivare i propri hobby, navigare su Internet, trascorrere il tempo libero, e così via. Per realizzare questi obiettivi, tali biblioteche hanno ovviamente bisogno di più spazio, più libri e materiali multimediali, più posti a sedere, più postazioni di lavoro e più personale. In un certo senso, esse sono chiamate ad agire come gli ipermercati della rete bibliografica se confrontati con le piccole e medie biblioteche pubbliche tradizionali. Allo stesso tempo, le biblioteche locali e di quartiere —come già accade normalmente nel mondo commerciale— devono, da un lato, offrire ai cittadini servizi e contenuti riconoscibili, dall'altro ripensare i propri modi d'essere in maniera complementare o alternativa rispetto alle grandi biblioteche centrali, nel tentativo di dare una risposta diversa, ma altrettanto significativa, alle medesime tendenze.

Tale riorganizzazione dei sistemi bibliotecari urbani richiede importanti —e talvolta dolorosi. interventi di razionalizzazione, ma anche investimenti rilevanti da parte delle istituzioni, al fine di incoraggiare un cambio di prospettiva nelle realtà in cui le biblioteche sono in declino, e, soprattutto, un atteggiamento mentale di apertura da parte dei bibliotecari, i quali dovrebbero essere pienamente consapevoli del ruolo che possono svolgere nell'imprimere un'accelerazione a questo cambiamento.


Bibliografía

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Data de recepció: 07/09/2010. Data d'acceptació: 14/10/2010.




Notas

1 Per maggiori informazioni sulla ""lunga coda"" e una sua visualizzazione grafica si veda il blog ad essa dedicato dall'autore: <http://www.longtail.com/>.

2 Sulle sfide attuali e sul futuro della biblioteca pubblica si è sviluppato un ampio dibattito nella letteratura biblioteconomica italiana, per il quale si rimanda alla bibliografia finale. Si vedano in particolare: Agnoli (2009), Conti (2006), Galluzzi (2006 e 2009), Leombroni (2005); Petrucciani (2006), Ridi (2006), Salarelli (2009); Traniello (2005); Vivarelli (2007).

3 Per ulteriori casi di studio ed esempi si veda Galluzzi (2009), in cui sono proposte schede di approfondimento di 12 biblioteche realizzate in Europa e in Nord America in città medio-grandi negli anni 1998-2008.

4 Sulle origini e i principi di fondo degli Idea Stores si veda l'intervista su YouTube (con traduzione in catalano) a Sergio Dogliani, Deputy Head of Idea Store: <http://www.youtube.com/watch?v=mZUiMqAvvvk>.

5 Per maggiori informazioni, si veda il sito web del Whitechapel Idea Store: <http://www.ideastore.co.uk/en/articles/libraries_your_local_idea_store_library_idea_store_whitechapel>.

6 Si veda l'articolo originale e il dibattito che ne è seguito su: <http://www.myfoxchicago.com/dpp/news/special_report/library-taxes-closed-20100628>.